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Sclerosi multipla: nuova cura con cellule staminali nel cervello

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Da una sperimentazione condotta da ricercatori dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano e illustrata su “Nature Medicine” è emerso che la terapia con cellule staminali del cervello nelle persone con forme progressive di sclerosi multipla è sicura e sembra frenare l’avanzata della malattia. A differenza del passato, quando vennero impiegate le cellule staminali mesenchimali ed ematopoietiche, questa volta gli esperti hanno utilizzato le cellule staminali del sistema nervoso, già testate in altre patologie come la Sla o la malattia di Huntington allo scopo di sostituire le cellule danneggiate. I pazienti che hanno preso parte allo studio presentavano fattori di crescita e di sostanze neuroprotettive all’interno del liquido cerebrospinale. Questo potrebbe confermare la capacità del trattamento di favorire processi di riparazione. La sua efficacia sarà messa alla prova in una sperimentazione più ampia. (Agonb)

Negli ultimi 20 anni sono stati sviluppati diversi farmaci per la sclerosi multipla recidivante-remittente. Si tratta di anticorpi monoclonali che agiscono sull’immunità e prevengono le riacutizzazioni. “Tuttavia, hanno scarsa efficacia sulla debole infiammazione persistente del sistema nervoso centrale che è tipica della condizione progressiva”, spiega Gianvito Martino, direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, primo autore dello studio.

Con la sperimentazione hanno utilizzato prima modelli animali per studiare il comportamento delle cellule staminali neurali trapiantate, che sono cellule indifferenziate in grado di generare diversi tipi di cellule nel sistema nervoso. Quando vengono infuse nel liquido cerebrospinale, raggiungono le aree danneggiate del cervello e del midollo spinale e secernono proteine che favoriscono l’autoriparazione della guaina mielinica e degli assoni, riducendo al contempo l’infiammazione.

References

  1. Genchi, A., Brambilla, E., Sangalli, F. et al. Nat Med (2023)

Questo articolo ha un commento

  1. Lucia

    Molto interessante, mi stavo chiedendo se questa nuova metodica potrebbe essere utile anche per altre malattie neurodegenerative, nello specifico per la sindrome di chocayne, grazie.

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