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La relazione tra microbiota intestinale e obesità

AUTORE: Dott.ssa Maria Paola Di Gioia – Biologa Nutrizionista

Pubblicazione – ANNO 6 GIUGNO 2023 – ISSN: 2612/4947

L’obesità è una patologia cronica, multifattoriale, correlata a diverse patologie, cardiovascolari, metaboliche, respiratorie, osteoarticolari. Nella patogenesi dell’obesità interagiscono in maniera molto articolata e complessa diversi fattori: comportamentali, psicologici, ambientali, metabolici, neuro-immuno-endocrini. Negli ultimi anni si sta assistendo ad un incremento di studi e pubblicazioni in merito al ruolo del microbiota intestinale nella patogenesi dell’obesità. Recenti studi hanno suggerito che la composizione corporea è la chiave per la salute e la malattia. In primo luogo, il tessuto adiposo è un organo metabolico ed endocrino complesso, essenziale e altamente attivo che risponde ai segnali afferenti provenienti dai sistemi ormonali tradizionali e dal sistema nervoso centrale, ma esprime e sentenzia anche fattori con importanti funzioni endocrine, metaboliche e immunitarie. In secondo luogo, la massa muscolare scheletrica è un importante predittore della salute nella vita adulta, mentre una grave perdita di massa è stata associata alla fragilità della vecchiaia. Gli studi hanno dimostrato che il muscolo scheletrico è anche un importante organo endocrino che secerne fattori con azioni autocrine, paracrine o endocrine, che sono state associate a processi infiammatori. In terzo luogo, l’osso è anche un regolatore endocrino sistemico che gioca un ruolo fondamentale nella salute e nelle malattie. Infine, una corretta idratazione negli esseri umani è stata trascurata come fattore di salute, soprattutto negli adulti. L’ipersecrezione cronica dello stress e dell’ormone dello stress da solo o associata a disturbi distinti, come ansia, depressione, obesità, sindrome metabolica, disturbi autoimmuni, diabete mellito di tipo 2 e sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), sono stati associati a manifestazioni psicologiche e somatiche, tipicamente, aumento della massa grassa, osteosarcopenia/fragilità, disidratazione cellulare e infiammazione sistemica cronica.  Tutte le malattie hanno origine nell’intestino (Ippocrate 460-370 a.C.) (Ippocrate di Kos.) E’ stato più di 2000 anni fa quando il medico greco Ippocrate, spesso considerato il padre della medicina moderna, avrebbe fatto questa affermazione. Com’è possibile che influenzi il nostro cervello? Tre sono i modi:

  1. Tramite la produzione diretta dei neurotrasmettitori come dopamina, noradrenalina, Gaba, serotonina ed acetilcolina
  2. Connessione bidirezionale intestino cervello che sarebbe fornita dal il nervo vago 
  3. Terzo sistema è quello che avverrebbe tramite fenomeni di immunomodulazione da parte del microbioma direttamente.

Obesità

L’obesità, uno dei principali problemi di salute pubblica, è causata nella maggior parte dei casi da stili di vita scorretti; è quindi una condizione ampiamente prevenibile. L’obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, condizione che determina gravi danni alla salute. E’causata nella maggior parte dei casi da stili di vita scorretti: da una parte, un’alimentazione scorretta ipercalorica e dall’altra un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica. L’obesità è quindi una condizione ampiamente prevenibile. L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito sia perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori. Si stima che il 44% dei casi di diabete tipo 2, il 23% dei casi di cardiopatia ischemica e fino al 41% di alcuni tumori sono attribuibili all’obesità/sovrappeso. In totale, sovrappeso e obesità rappresentano il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale e i decessi attribuibili all’obesità sono almeno 2,8 milioni/anno nel mondo. 

Disturbi della composizione corporea e stress

L’obesità è la condizione di accumulo di grasso anormale o eccessivo nella misura in cui la salute del corpo è compromessa. È causato da uno squilibrio tra l’apposi di energia della dieta e le esigenze energetiche del corpo. L’accumulo di grasso in vari tessuti è stato implicato in molti disturbi metabolici, come la malattia epatica grassa non alcolica (NAFLD) o l’epatosteatosi e la miosteatosi. Entrambe le entità possono coesistere non solo in pazienti obesi o in sovrappeso, ma anche in soggetti magri. Recentemente, è stata identificata un’entità combinata: l’obesità osteosarcopenica, cioè l’obesità associata sia alla sarcopenia che all’osteopenia. Ciò può derivare dall’iperattività del sistema di stress cronico.  In questo ha un ruolo lo stress cronico nell’insorgenza e nella storia naturale dei disturbi della composizione corporea umana.

Il microbiota intestinale

Evidenze sperimentali e cliniche stanno facendo luce in maniera sorprendente sulla complessa entità del microbiota intestinale e sulle sue molteplici funzioni. E’stato osservato che i microrganismi che colonizzano il tratto gastroenterico non sono solo ospiti quasi inerti ma sono attivi protagonisti di vivaci interazioni tra il tratto gastroenterico e il sistema neuro-immuno-endocrino.   Sappiamo che la flora batterica intestinale comprende 1014 batteri a cui vanno aggiunti miceti e virus. Il genoma complessivo della sola flora batterica intestinale è quindi esponenzialmente più ricco di geni del genoma umano. Solo l’1% dei nostri geni viene trasmesso dai genitori, il restante 99% viene acquisito dal microbioma presente nell’ambiente circostante in particolare al momento della nascita, durante il transito attraverso il canale del parto e successivamente con l’allattamento. (1) Il microbiota intestinale è una comunità microbica presente nel tratto enterico ed è, quindi, un “meta-organo” (un organo che non ha corrispondenza anatomica) che può vivere due condizioni: eubiosi o disbiosi. Se il microbiota è in eubiosi significa che è equilibrio ed è funzionalmente efficace, condizione che permette di mantenere in salute tutto l’organismo. La condizione di disbiosi, cioè quella di disequilibrio è correlata a diverse malattie come diabete, obesità, patologie cardiovascolari, ma anche demenza di Alzheimer, morbo di Parkinson, depressione, ansia schizofrenia disturbo bipolare oltre a patologie come autismo o ADHD perché vi è una forte relazione tra cervello, flora batterica e intestino, anche detta asse microbiota-intestino-cervello. Alcuni Autori ritengono il “Gut microbiota” (microbiota intestinale) come uno sparring partner della mucosa intestinale ipotizzato come una barriera contro la proliferazione di patogeni regolando la maturazione del sistema immunitario, producendo vitamine (acido folico, vitamina K, vitamine del gruppo B), regolando la mobilità intestinale e permettendo un parziale recupero dell’energia dalle fibre alimentari. Negli individui sani, la composizione del microbiota intestinale è estremamente diversificata, con i ceppi batterici protettivi in quantità superiori rispetto a quelli potenzialmente dannosi. Questa composizione assicura una divisione efficiente e benefica delle attività che si svolgono nell’intestino. La perdita di questa diversificazione, unita alla comparsa di squilibri tra le proporzioni dei ceppi batterici, può avere gravi conseguenze. Questa perdita di equilibrio, chiamata disbiosi, è associata a una vasta gamma di disturbi. Tra questi, diarrea, sindrome del colon irritabile (IBS) o malattia infiammatoria dell’intestino (IBD), tumore del colon-retto e anche alcune patologie epatiche e allergie, nonché malattie collegate all’alimentazione come obesità, diabete di tipo 2 o celiachia. Le composizioni alterate del microbiota intestinale hanno effetti anche sul sistema nervoso centrale, perché intestino e cervello sono connessi da una moltitudine di pathway di comunicazione utilizzati da trasmettitori e metaboliti batterici. Le stime più recenti suggeriscono che le nostre cellule microbiche siano più numerose rispetto alle cellule umane in un rapporto di 1,3:1, mentre a livello genetico sembra che oltre il 99% del patrimonio genetico nel nostro corpo sia di origine microbica (comprendente oltre 10 milioni di geni di origine batterica) costituendo, di fatto, un secondo genoma.  Negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera rivoluzione del microbiota, intesa come lo studio approfondito delle comunità microbiche presenti su tutte le superfici mucose, in primis il tratto gastrointestinale. Queste nuove informazioni ci hanno fatto scoprire specie sconosciute fino a pochi decenni fa, creando molte domande sulle possibili funzioni, sulle interazioni tra microbi e tra microbi e ospite (l’essere umano) e su come queste comunità siano correlate al nostro stato di salute e di malattia. Il microbiota intestinale, di fatto, contiene la parte variabile del nostro genoma, che ci rende possibile quindi l’adattamento alle perturbazioni esterne. Il genoma umano possiede un’identità del 99.9% tra diversi individui, mentre il microbioma intestinale ha una diversità tra individui che arriva all’80-90%. Per questa caratteristica, il microbioma potrà essere molto più utile nell’ambito di una medicina personalizzata. Il microbioma, unico per ognuno di noi, è influenzato da tante variabili, alcune legate alla genetica dell’ospite, ma, la maggior parte, legate all’ambiente in cui siamo nati e cresciuti: la modalità del parto, il tipo di allattamento e le modalità di svezzamento, la dieta, la presenza di animali domestici, ecc. È fondamentale quindi che tutte le specie microbiche siano in armonia relativa tra di loro per garantire uno stato di eubiosi e quindi di salute. 

Le funzioni del microbiota

L’alterazione dello stato fisiologico del microbiota (disbiosi) porta a un’alterazione di tutta la barriera, configurando quello che viene chiamato “leaky gut” cioè un intestino iperpermeabile, che lascia “filtrare” più di quanto dovrebbe, esponendo le cellule del nostro sistema immunitario e, in generale, l’ospite a un maggior contatto con frammenti microbici o derivanti dal cibo che possono essere la base di molti stati patologici. Il microbiota e la barriera intestinale svolgono anche funzione di stimolazione del nostro sistema immunitario, che è fondamentale per un corretto sviluppo delle difese e ci protegge da possibili patogeni.  Tuttavia è importante che la nostra risposta immune si interrompa al momento opportuno. Pensiamo ad esempio al carico di antigeni che introduciamo con il cibo: una regolazione adeguata del sistema immunitario è fondamentale affinché li riconosciamo come innocui. Non solo, il microbiota ha anche funzione di sintesi e in particolare produce, oltre ad alcune vitamine, anche gli acidi grassi a catena corta che sono la principale fonte di nutrimento per le cellule del colon e hanno inoltre un ruolo nella regolazione del sistema immunitario. Anche la sensazione di fame e sazietà, così come il metabolismo glucidico, sono regolati in parte dal microbiota e, secondo recenti studi, il microbiota sarebbe persino in grado di influenzare il nostro comportamento grazie all’interazione dell’asse intestino-cervello. Considerate tutte queste funzioni, è chiaro come la disbiosi possa essere alla base di molte e diverse malattie che non coinvolgono solo il tratto gastrointestinale.

Come  rafforzare il microbiota

La dieta è in grado di modificare in maniera profonda il microbiota, ma altre possibilità di modulazione sono costituite dall’uso di prebiotici, probiotici, simbiotici, antibiotici e, recentemente, dal trapianto di microbiota fecale. L’utilizzo di probiotici per modulare il microbiota si basa sulla teoria che la specie probiotica introdotta interagisca con i microrganismi residenti nel nostro intestino, cooperando per il mantenimento dell’eubiosi in condizioni più o meno fisiologiche, come ad esempio durante l’assunzione di antibiotici, o ripristinandola in seguito a una condizione di disbiosi. Alcuni ceppi possono svolgere un’azione di barriera, impedendo la colonizzazione da parte di patogeni; altri possono anche rafforzare la normale funzione della nostra barriera stimolando la produzione di muco. Inoltre, i probiotici sarebbero in grado di interagire con le cellule del nostro sistema immunitario, da un lato stimolandolo, ma dall’altro inducendo una attività anti-infiammatoria indispensabile per il mantenimento della fisiologica risposta immunitaria. Tuttavia, questi effetti non sono tutti contemporaneamente presenti negli stessi ceppi probiotici. Per quanto riguarda l’utilizzo di probiotici in soggetti sani, una recente revisione della letteratura, che ha incluso studi pubblicati dal 1990 al 2017, ha concluso che la supplementazione con probiotici negli adulti sani può portare a un aumento nel microbiota intestinale della concentrazione di quello specifico probiotico somministrato ma solo in modo transitorio, senza indurre quindi cambiamenti persistenti nel microbiota intestinale. Anche se oggi il mondo scientifico ha ancora molto da dirci sui probiotici che sono disponibili sul mercato, la ricerca ha già ampliato gli orizzonti e il futuro si apre a nuovi scenari. Grazie alle tecniche di bioingegneria sarà possibile modificare ceppi probiotici attuali in modo da renderli veicoli di molecole utili a svolgere uno specifico obiettivo. Continueremo in parte ad utilizzare i ceppi probiotici disponibili oggi sul mercato, ma con maggiore consapevolezza e, probabilmente, riusciremo a combinarli al meglio per sfruttare il massimo degli effetti dalla sinergia dei diversi ceppi. La strategia di integrazione probiotica del futuro, quindi, comporterà una profonda conoscenza del microbiota e delle tecniche diagnostiche ad esso associate da cui deriverà la competenza necessaria per una integrazione mirata e personalizzata. Sarà quindi opportuno lo sviluppo di vere e proprie “cliniche del microbiota” dove diversi specialisti -tra i quali il microbiologo, il gastroenterologo e il nutrizionista- collaborino per definire una integrazione sempre più personalizzata e dai risultati migliori per la nostra salute.

ASSE MICROBIOTA CERVELLO

Un articolo, recentemente pubblicato su Neuropsychobiology [1], ha preso in esame i meccanismi biologici di interazione fra il microbiota intestinale ed il cervello da una prospettiva psichiatrica, riassumendo le più recenti evidenze in materia. Gli autori sottolineano come il contributo di questi microrganismi, che costituiscono un organo virtuale, non può essere ad oggi ignorato, considerando il ruolo chiave che gioca in funzioni quali il metabolismo o la regolazione del sistema immunitario e, come mostrato più di recente, nella modulazione dell’umore e del comportamento. L’asse microbiota-intestino-cervello è una matrice dinamica di tessuti e organi, tra cui il microbiota gastrointestinale, le cellule immunitarie, il tessuto intestinale, le ghiandole, il sistema nervoso autonomo e il cervello, che comunicano in un modo multidirezionale e complesso attraverso un numero di sistemi anatomicamente e fisiologicamente distinti. I principali meccanismi di comunicazione proposti includono: i prodotti del metabolismo microbico (inclusi acidi grassi a corta catena (SCFA), lipopolisaccaridi e peptidoglicani); neuropeptidi e neurotrasmettitori; la regolazione della produzione di citochine e delle cellule immunitarie; il sistema nervoso (compreso il sistema nervoso enterico ed il nervo vago); la modulazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Vista la miriade di interazioni in campo, non sorprende come la disregolazione del microbiota sia attualmente ritenuta implicata in numerose patologie psichiatriche e come la modulazione della popolazione microbica possa oggi rappresentare un target terapeutico complementare, considerato che, a differenza del genoma umano, quello microbico è estremamente variabile nel corso della vita e responsivo ad input esterni. Evidenze cliniche, seppure ancora limitate rispetto alla mole di dati preclinici, circa l’alterazione della numerosità e della diversità delle specie microbiche in soggetti con patologie neuropsichiatriche rispetto a controlli sani, sono oggi disponibili per disturbi del neurosviluppo (ad esempio autismo ed ADHD), disturbo bipolare, schizofrenia, disturbi d’ansia, stress e depressione, nonché per patologie neurodegenerative legate alla neuroinfiammazione. I cambiamenti nella diversità e nella composizione microbica sono sempre più associati a diversi stati della malattia, tra cui l’obesità e i disturbi comportamentali. Il microbiota associato all’obesità altera la raccolta di energia dell’ospite, l’insulino-resistenza, l’infiammazione e la deposizione di grasso. Inoltre, il microbiota intestinale può regolare il metabolismo, l’adiposità, l’omeostasi e l’equilibrio energetico, nonché l’appetito centrale e la segnalazione della ricompensa alimentare, che insieme hanno ruoli cruciali nell’obesità. Inoltre, alcuni ceppi di batteri e dei loro metaboliti potrebbero colpire il cervello direttamente tramite stimolazione vagale o indirettamente attraverso meccanismi immuno-neuroendocrini. Pertanto, il microbiota intestinale sta diventando un bersaglio per nuove terapie anti-obesità. Sono necessarie ulteriori indagini per chiarire l’intricata relazione intestino-microbiota-ospite e il potenziale di strategie mirate al microbiota intestinale, come gli interventi dietetici e il trapianto di microbiota fecale, come promettenti terapie metaboliche che aiutano i pazienti a mantenere un peso sano per tutta la vita. L’asse dell’ intestino-cervello comprende la comunicazione di informazioni direttamente dal tratto gastrointestinale dagli ormoni dell’intestino ai centri regolatori di appetito situati nel sistema nervoso centrale. Tali informazioni sono trasferite via le vie vagali o non vagali di segnalazione del nervo, o direttamente con sangue. Il microbiota intestinale può influenzare la versione di parecchi trasmettitori chiave che gestiscono sopra l’asse del intestino-cervello e che possono modulare l’ingestione di cibo. Questi sono acidi grassi, serotonina, peptide YY, ghrelin e leganti principalmente a catena corta del sistema del endocannabinoid. L’anticipazione del pasto, stimolo meccanico dell’intestino a causa della presenza di alimento nello stomaco e valore nutritivo dell’intestino, può tutta stimolare la secrezione degli ormoni dell’intestino che successivamente attivano le vie di segnalazione dagli intestini al tronco cerebrale ed all’ipotalamo per terminare il consumo alimentare. Quegli ormoni sono conosciuti come ormoni “anoressici„ (quali il peptide YY ed il peptide del tipo di glucagone 1), rispetto agli ormoni “orexigenic„ (come il ghrelin) sensibilità di quella fame dell’iniziato prima di un pasto. I nuclei posizionati all’interno dell’ipotalamo sono una parte di più grande rete che segnalano ad altri settori del cervello interessati nel controllo di appetito. Questi possono essere nel tronco cerebrale, in amigdala, in nucleus accumbens e nella corteccia prefrontale. Inoltre, i afferents vagali dall’intestino rappresentano una via alternativa della segnalazione del cervello. Comunque, il nervo vago rappresenta il collegamento neuroanatomical principale fra il tratto gastrointestinale ed il cervello. Se tutte le fibre vagali sensoriali nell’intestino transected, questa è seguita da un aumento nella dimensione e nella durata del pasto. L’interazione fra il host e il microbiota dell’intestino prende la forma di una simbiosi complessa e attiva. In persone obese, le specie di Firmicutes (specialmente lattobacillacee, Lachnospiraceae e Veillonellaceae) sono state vedute in abbondanza; d’altra parte, un a bassa percentuale di grassi, dieta della alto-fibra ha fatto diminuire il numero di Firmicutes. Se consideriamo l’effetto della variazione microbica sull’asse del intestino-cervello, gli studi indicano che le concentrazioni di Bifidobacteria sono associate inversamente con lo sviluppo di intolleranza al glucosio, della massa grassa e dell’avvenimento dei lipopolysaccharides batterici nel sangue via stimolo del peptide YY e del ghrelin. Ciò è dove gli interventi con il prebiotics (quali oligofructose o fructans dietetici) entrano in gioco, poichè hanno la capacità di richiedere la crescita bifidobacterial e, a loro volta, di stimolare i segnali che provocheranno la perdita di peso, dai livelli aumentati di peptide YY e dai livelli diminuiti di ghrelin. È stato indicato che le diete (esenti da germi) axenic sono state caratterizzate da un’espressione intestinale in diminuzione dei peptidi di sazietà quali colecistochinina, il peptide YY e peptide-1 del tipo di glucagone come pure con i livelli in diminuzione del plasma di ormoni gastrointestinali come la leptina confrontata ai comandi normali. Ciò è stata accompagnata dalle alterazioni negli indicatori biochimici del plasma che imitano uno stato di digiuno, con glucosio di circolazione in diminuzione e metabolismo grasso aumentato. Il peptide-1 del tipo di glucagone ha un ruolo fondamentale nella comunicazione di regolamentazione fra il lumen dell’intestino ed il suo caricamento nutrizionale con gli organi periferici quale il muscolo, il fegato, il tessuto adiposo ed il cervello. Ciò è raggiunta tramite gli aumenti nella sazietà, nella secrezione dell’insulina e nel tempo di transito dell’intestino dopo il pasto. Inoltre, la secrezione di peptide-1 del tipo di glucagone è diminuita nell’obesità, che provoca l’indipendente di insulino-resistenza da fare circolare i livelli degli acidi grassi. I nostri microbi intestinali ci fanno un servizio eseguendo faccende metaboliche che non ci siamo evoluti per noi stessi. In un certo senso i loro geni fanno parte del ‘metagenoma’ che è Homo sapiens. Ciò è illustrato da due articoli correlati in questo numero che presentano prove per una componente microbica all’obesità. Uno studio dell’abbondanza dei due gruppi dominanti di batteri nell’intestino di individui obesi mostra che un numero maggiore di batteri Bacteroidetes correlati con la perdita di peso. E uno studio sui topi geneticamente obesi rivela che la loro comunità microbica intestinale ha una maggiore capacità di raccolta di energia rispetto a quella dei compagni di cucciolata magri: il tratto è trasmissibile trapiantando la comunità in topi privi di germi. Questo lavoro suggerisce che il microbioma intestinale associato all’obesità potrebbe essere un biomarcatore e possibilmente un obiettivo terapeutico. (4) L’alimentazione scorretta altera anche il microbiota. L’alterazione del microbiota “espone” l’epitelio intestinale (la nostra pelle interna di 350mq connotata da uno straordinario singolo strato di cellule) in cui si aprono i pertugi fra cellula e cellula (tight junction).  A quel punto un intestino iper-permeabile (leaky gut) fa passare nel torrente ematico tutto un insieme di roba che dovrebbe essere eliminata con le feci, innescando un’infiammazione non percepita che si estende sempre più, e costituendo sia un attacco al sistema immunitario (oltre il 70% di esso è nell’intestino) che malassorbimento etc etc. tale infiammazione diventa “sistemica” con conseguenze più diverse da soggetto a soggetto, in primis il rischio CV che rappresenta la prima causa di morte in Italia, contando il 44% di tutti i decessi. Esempio una delle caratteristiche che connota una percentuale di soggetti deceduti per Covid è l’obesità: essi avevano anche il microbiota alterato, ma non si può dire, banalizzando, che è stato il microbiota il trigger principale del decesso. In pratica il soggetto obeso è a rischio non per il “peso” ma per il “serbatoio di mastociti” che si porta nel grasso viscerale, ed il microbiota disorganizzato è uno degli ingranaggi del meccanismo distruttivo. Va considerato quindi come elemento, ma senza perdere mai di vista il quadro di insieme. I microbi intestinali influenzano le funzioni dell’ospite che contribuiscono allo sviluppo e al mantenimento dell’obesità attraverso :

  • raccolta di energia, 
  • dispendio energetico e accumulo di grasso 
  • comportamento ingerito dell’ospite (modulazione dei segnali di appetito e sazietà)
  • un’infiammazione di basso grado, che contribuisce all’insorgenza dell’obesità e dei disturbi metabolici correlati 
  • la permeabilità intestinale, che determina l’endotossiemia (cioè alti livelli plasmatici di lipopolisaccaride batterico (LPS) e la batteriemia (cioè la traslocazione di batteri vivi nei tessuti ospiti), è influenzata dai microbi intestinali 
  • espressione di geni coinvolti nel metabolismo, accumulo e mobilizzazione di nutrienti e lipidi 

Il metabolismo energetico nei topi e nell’uomo può essere significativamente influenzato dalla presenza, dalla composizione e dalle azioni metaboliche del microbiota intestinale. In generale, gli ospiti hanno una maggiore disponibilità di energia e metabolismo in presenza di batteri intestinali. La sovranutrizione e/o lo stato di obesità determinano un cambiamento nel microbiota intestinale che migliora/aumenta l’assorbimento dei nutrienti  la raccolta di energia da parte dell’ospite. Un meccanismo essenziale mediante il quale il microbiota intestinale migliora la raccolta di energia dell’ospite è attraverso l’idrolisi e la fermentazione dei polisaccaridi alimentari che l’ospite non può altrimenti digerire. La fermentazione microbica genera monosaccaridi e acidi grassi a catena corta (SCFA), che possono essere assorbiti e utilizzati come energia dall’ospite. D’altra parte, le prove accumulate indicano che gli SCFA prodotti dalla fermentazione batterica riducono l’appetito e/o alterano il metabolismo energetico per promuovere un peso sano. Il microbiota influenza il partizionamento dei nutrienti modulando l’espressione dei geni ospiti (p. Es., Studi sui topi hanno indicato che il microbiota sopprime l’espressione intestinale di un inibitore della lipasi lipoproteica circolante, prodotto nell’epitelio intestinale, contribuendo così ad aumentare la deposizione di grasso/trigliceridi negli adipociti) L’obesità è associata ad alti livelli plasmatici di frammenti batterici (endotossiemia), in particolare lipopolisaccaride (LPS), il componente principale della membrana esterna dei batteri Gram-negativi. L’obesità è anche caratterizzata dalla traslocazione di batteri vivi nei tessuti ospiti (batteriemia). La dieta ricca di grassi e la perdita di specifici membri del microbioma intestinale (cioè Bifidobacterium spp.) Aumentano la permeabilità intestinale e quindi consentono il passaggio di batteri e frammenti batterici dal lume intestinale alla circolazione sistemica, con conseguente aumento del livello plasmatico di LPS e batteriemia. Le differenze nella composizione della comunità, nei geni funzionali e nelle attività metaboliche del microbiota intestinale sembrano distinguere gli individui magri da quelli obesi, suggerendo che la “disbiosi” intestinale contribuisce allo sviluppo dell’obesità e/o delle sue complicanze. Studi su topi e esseri umani hanno rivelato che l’obesità è associata a un microbioma perturbato (cioè disbiosi intestinale) caratterizzato da:

a) cambiamenti nell’abbondanza relativa dei due gruppi batterici dominanti, cioè i Bacteroidetes e i Firmicutes, con un rapporto Firmicutes / Bacteroidetes anormalmente aumentato negli obesi (anche se questo aspetto è ancora dibattuto)

b) ridotta diversità microbica

c) È noto che il microbiota influisce sulla capacità del nostro corpo di estrarre energia da una dieta. Il microbiota intestinale associato all’obesità ha una maggiore capacità di raccogliere energia dalla dieta / estrarre energia dal cibo: ad esempio il microbioma obeso include più geni che codificano per enzimi coinvolti nell’idrolisi iniziale di polisaccaridi alimentari indigeribili, geni che codificano proteine ​​che importano gli zuccheri idroliti e metabolizzano loro

d) pattern alterato dei geni microbici e delle funzioni metaboliche (principalmente coinvolte nel metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e degli amminoacidi)

e) Cambiamenti specifici nella composizione del microbiota a livello di classe e inferiore. Per esempio. aumento delle popolazioni all’interno della famiglia Gram-negativi Enterobacteriacea e livelli più elevati di patogeni opportunisti (ad esempio, Clostridium spp.); al contrario, alcuni generi produttori di SCFA sono ridotti, inclusi Bifidobacterium e Faecalbacterium prausnitzii. (Turnbaugh et al. 2006, 2009)

I trapianti fecali di microbiota da topo a topo, e da uomo a topo, evidenziano che l’obesità è trasmissibile e dipende dal microbiota intestinale! La colonizzazione (mediante trapianto) di topi privi di germi con un “microbiota obeso” si traduce in un aumento del grasso corporeo e porta a caratteristiche metaboliche associate all’obesità. Questi risultati identificano il microbiota intestinale come un ulteriore fattore che contribuisce (piuttosto che una mera conseguenza) alla fisiopatologia dell’obesità. L’obesità modifica la composizione microbica del microbiota intestinale e queste alterazioni microbiche intestinali svolgono un ruolo eziologico nell’obesità e nella resistenza all’insulina. (Ridaura et al. 2013 Science; Turnbaugh et al. 2006 Nature). Confrontando i campioni fecali di oltre 400 gemelli, è stato scoperto che i gemelli monozigoti hanno un microbioma intestinale più simile rispetto ai gemelli dizigoti, indicando che la genetica dell’ospite ha un’influenza rilevante sui microbiomi intestinali. Inoltre, le Christensenellaceae (un gruppo batterico) si arricchiscono negli individui magri, mentre gli individui obesi hanno livelli molto ridotti di microbi Christensenellaceae. Per supportare la connessione tra Christensenellaceae e il peso corporeo, i ricercatori hanno trapiantato uno dei membri del taxon, Christensenella minuta, insieme a microbi noti per causare obesità in topi privi di germi. I topi che hanno ricevuto C. minuta avevano un aumento di peso ridotto rispetto ai topi di controllo senza C. minuta. (Goodrich et al. 2014 La genetica umana dà forma al microbioma intestinale. Cellula.) Attualmente, la maggior parte dei prebiotici sul mercato sono derivati da oligosaccaridi non digeribili. Pochissimi studi si sono concentrati su polisaccaridi complessi a catena lunga non digeribili in relazione al loro potenziale come nuovi prebiotici. I β-glucani sono stati studiati per proprietà immunomodulanti ed effetti benefici su obesità, malattie cardiovascolari, diabete e livelli di colesterolo. Inoltre, β-glucani sono stati segnalati per essere altamente fermentabili dal microbiota intestinale nel mento e nel colon e possono migliorare sia il tasso di crescita che la produzione di acido lattico di microbi isolati dall’intestino umano. Lo studio fatto presso l’università di Foggia, ha relazionato, proprio, sugli effetti delle matrici alimentari contenenti orzo β-glucani sulla crescita e caratteristiche probiotiche di quattro ceppi di Lactobacillus. Tali matrici sono state in grado di migliorare il tasso di crescita dei batteri testati sia in condizioni non stressate che, cosa importante, dopo l’esposizione alla simulazione in vitro del tratto digestivo. Inoltre, è stato analizzato l’effetto del cibo contenente β-glucani sull’adesione batterica alle cellule enterociti ed è stata osservata un’influenza positiva sull’interazione probiotico-enterocita. (13) Inoltre in altro studio, sempre della stessa Univerità, si ritiene che i lattobacilli naturalmente presenti nell’intestino neonatale siano benefici per gli ospiti umani e siano studiati come potenziali probiotici. In questo studio, abbiamo mirato a caratterizzare sei ceppi di Lactobacillus plantarum derivati dalle feci di un bambino allattato al seno, per lo sviluppo di nuove colture probiotiche. L’ attenzione è stata focalizzata su L. plantarum in ragione della presenza, all’interno di tali specie, di ceppi sia pro-tecnologici che probiotici, o cioè una combinazione di particolare interesse per progettare colture di avviamento probiotiche su misura per i paesi in via di sviluppo. Gli isolati batterici che presentano caratteristiche fenotipiche lattobacilli-simili sono stati identificati come membri del gruppo L. plantarum dal sequenziamento genico 16S rRNA, e la loro diversità è stata valutata da modelli PCR randommente amplificati di DNA polimorfico (RAPD). I ceppi selezionati sono stati selezionati per il potenziale probiotico attraverso test in vitro. In primo luogo, la sopravvivenza batterica è stata valutata in un sistema in vitro che simula il tratto umano oro-gastrointestinale, utilizzando anche il latte come matrice portante. Inoltre, sono stati studiati tratti fisiologici come la suscettibilità agli antibiotici, l’attività antimicrobica contro agenti patogeni enterici selezionati e l’adesione alle superfici abiotiche e alla mucina gastrica. Considerando la resistenza alla digestione gastrointestinale simulata e i risultati delle prove di adesione al biofilm e alla mucina, è stato selezionato un L. plantarum LSC3 denominato a ceppo per un’ulteriore valutazione della capacità di adesione in vitro alla mucosa intestinale e alle attività immunomodulatorie. L. plantarum LSC3 è stato in grado di aderire in modo efficiente alle cellule simili agli enterociti umani (cellule Caco-2) e ha diminuito la trascrizione il-8 aumentando il livello di IL-10 mRNA, come rivelato dall’analisi trascrizionale sui macrofagi umani stimolati dall’LPS (THP-1). I risultati evidenziano che L. plantarum LSC3 soddisfa i principali criteri probiotici in vitro e interessanti proprietà immunostimolatorie, e quindi può essere un candidato promettente per ulteriori studi in vivo finalizzati allo sviluppo di nuove colture di starter probiotici. (14)I risultati gravosi dell’obesità non solo causano problemi irreparabili per l’individuo, ma possono anche causare un impatto finanziario sulla società; pertanto, la sua prevenzione e trattamento dovrebbero essere di grande interesse. A causa di vari effetti negativi dei farmaci di obesità, sono stati rimossi dal mercato, e in quello caso, molti studi su animali e umani fanno luce sul ruolo di microbiota intestinale, in particolare (Firmicutes e Bacteroidetes) in lo sviluppo di malattie metaboliche e obesità. Il consumo di probiotici come agente anti-obesità e antiobesogeno, porta alla correzione della disbiosi intestinale. Diversi studi hanno dimostrato che Lactobacillus e I generi Bifidobacterium sono i più potenziali da gestire trattamento. Inoltre, alcuni hanno riportato effetti deleteri da uso di altri ceppi. Sono necessari ulteriori studi per specificare il dosaggio esatto, durata della somministrazione e anche per caratterizzare gli effetti collaterali prima che i probiotici possano essere ampiamente prescritti per la prevenzione e il trattamento dei pazienti in sovrappeso.(16)

I PROBIOTICI POTREBBERO AIUTARE A TRATTARE I PAZIENTI CON MALATTIE METABOLICHE

L’obesità, il diabete e la “malattia del fegato grasso” nell’uomo (NASH, che è un eccessivo accumulo di grasso nel fegato) sono un problema di salute globale. I ricercatori ritengono che lo stile di vita, in particolare una cattiva alimentazione, contribuisca alla rapida progressione di queste malattie. Gli studi dimostrano che i pazienti con malattie metaboliche come il diabete di tipo 2, l’obesità e la NASH hanno #disbiosi, ovvero uno squilibrio del microbiota intestinale. Questa disbiosi è caratterizzata da una diminuzione dei batteri benefici. La metformina, un farmaco comunemente somministrato ai pazienti con diabete di tipo 2 per regolare i livelli di glucosio nel sangue, modula il microbiota intestinale per migliorare il livello di glucosio nel sangue dell’ospite. Secondo l’OMS e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), i probiotici sono “microrganismi viventi che, se somministrati in quantità adeguata, conferiscono un beneficio per la salute del corpo ospitante”. Sebbene esistano prove a sostegno di un effetto benefico del consumo di probiotici nei casi di obesità, esistono pochi studi sul ruolo tenuto dai probiotici per altre malattie metaboliche, come il diabete e la NASH. Una recente revisione di 105 studi condotti su persone in sovrappeso ma non obese ha scoperto che i probiotici migliorano la perdita di peso. In particolare, il consumo di probiotici, contenenti almeno 3 ceppi di batteri, per otto settimane ha migliorato i marker di salute metabolica con una leggera riduzione della perdita di peso, riduzione del grasso corporeo e circonferenza della vita. persone in sovrappeso. Nei pazienti con diabete di tipo 2, l’assunzione regolare di probiotici ha migliorato il controllo glicemico e ridotto il peso corporeo e l’infiammazione, che è generalmente osservata nelle malattie metaboliche. I probiotici non hanno migliorato la resistenza all’insulina nei pazienti con NASH ma hanno migliorato altri marcatori metabolici come perdita di peso, circonferenza della  vita e produzione di enzimi epatici. Gli autori concludono che diversi ceppi di probiotici potrebbero lavorare sinergicamente con vari effetti sul metabolismo dell’ospite, come l’assorbimento dei lipidi, la digestione dello zucchero, l’infiammazione e la produzione di metaboliti benefici, acidi grassi con catene corte. Tuttavia, rimangono da scoprire gli esatti meccanismi alla base dell’azione dei probiotici; sono pertanto necessari studi adattati. Ciò dimostra come il potenziale di molteplici ceppi di probiotici servano per integrare i trattamenti tradizionali utilizzati nei pazienti con malattie metaboliche, come la dieta o l’attività fisica. (1) I risultati dello studio effettuato dal Dipartimento di Medicina Preventiva, Divisione di Salute Ambientale, Università del Sud California, Los Angeles suggeriscono che l’esposizione agli inquinanti atmosferici può avere un impatto sulla salute metabolica in parte attraverso le alterazioni del microbiota intestinale. Questo studio ha dimostrato che l’esposizione alla TRAP era associata all’abbondanza relativa di Bacteroidaceae e Corynebacteriaceae, che sono state associate con obesità, metabolismo alterato e infiammazione intestinale. Ad esempio, è stato dimostrato che Bacteroidaceae è impoverita nei bambini obesi ed è stata trovata inferiore negli adulti patologicamente obesi con una resistenza all’insulina alta rispetto a quella bassa, suggerendo che l’esaurimento di questi taxa può contribuire indipendentemente alla disfunzione metabolica. Le coriobacteriaceae sono state collegate al metabolismo del colesterolo e alla resistenza all’insulina tra le donne in gravidanza in sovrappeso e obese. Nello studio corrente, c’era anche una correlazione positiva tra l’esposizione alla TRAP e il genere Collinsella (famiglia Coriobacteriaceae, phylum Actinobacteria), che è stata segnalata nel diabete di tipo 2 (Lambeth et al., 2015; Zhang et al., 2013) e resistenza all’insulina durante la gravidanza (Gomez-Arango et al., 2016). Inoltre, Coriobacteriaceae, inclusa Collinsella, ha il potenziale per interagire direttamente con l’ospite attraverso la colonizzazione delle superfici mucose e il metabolismo degli amminoacidi. Medicina ayurvedica tradizionale, Arjunarishta (AA) è usato per trattare diverse condizioni infiammatorie tra cui dissenteria associata al sangue. La formulazione è un decotto di Terminalia arjuna (Roxb.) Wight e Arn. (TA), Madhuca indica J.F.Gmel., Vitis vinifera L., Woodfordia fruticosa (L.) Kurz., e Saccharum officinarum L. Terminalia arjuna, uno dei principali costituenti di questa formulazione è stato riconosciuto per gli effetti antinfiammatori. Uno studio effettuato dagi ricercatori francesi  mirava a valutare gli effetti benefici dell’AA e del probabile meccanismo d’azione nel modello di colite indotta da Trinitrobenzenesulphonicacid (TNBS). La risposta al trattamento AA è stata esplorata attraverso la determinazione dell’indice di attività della malattia (DAI), la valutazione istologica e i punteggi dei danni, l’espressione della citochina/chemochina pro-infiammatoria colonica e la stima dei biomarcatori dello stress ossidativo. È stato inoltre valutato il miglioramento del microbioma intestinale e del livello di zinco plasma. I risultati dello studio hanno diretto gli effetti terapeutici del trattamento AA nel modello di colite attenuando i sintomi della colite come perdita di peso, diarrea, sangue nelle feci; danno itologico; e l’espressione downregolata di citochine/chemokine pro-infiammatorie (TNF-z, IL-1β, IL-6) e MCP-1). Allo stesso modo ridotto lo stress ossidativo da diminuzione del livello di ossido nitrico (NO), Mieloperoxidase (MPO), Malondialdeide (MDA) e livello migliorato di Catalase (CAT), dismutasi superossido (SOD) e glutathione ridotto (GSH) è stato anche testimone. Inoltre, è stato rivelato un profilo di microbioma fecale benefico migliorato e lo stato di zinco plasmato ripristinato rispetto al gruppo di controllo TNBS. Lo studio dirige che le citochine/chemokine pro-infiammatorie downregulated, il miglioramento dell’effetto antiossidante, l’aumento dello stato di zinco plasmatico e il promettente ruolo nella modulazione del microbioma fecale potrebbero essere potenziali meccanismi per l’effetto terapeutico del trattamento AA contro la colite. (5) Il microbioma intestinale è noto per contribuire a una serie di processi metabolici e immunitari attraverso scambi microbici-ospite di geni e metaboliti e aiuta anche a mantenere la barriera intestinale tra i batteri nel lume e la  circolazione sistemica. Pertanto, qualsiasi alterazione indotta dall’esposizione nella composizione e / o nella funzione del microbioma intestinale può ridurre l’integrità della barriera intestinale e provocare un aumento della traslocazione batterica e infiammazione sistemica che contribuisce all’obesità e alla resistenza all’insulina. TRAP può avere il potenziale di modificare la composizione e / o la funzione dei batteri residenti, generare sottoprodotti dannosi attraverso la biotrasformazione batterica alterare il sistema immunitario innato e innescare infiammazioni locali e rottura della barriera intestinale. In quanto tale, una maggiore esposizione all’inquinamento atmosferico può contribuire all’obesità e alla resistenza all’insulina attraverso vie infiammatorie note legate ai cambiamenti nel microbioma intestinale. Negli esseri umani, pochi studi hanno esaminato le correlazioni tra gli inquinanti atmosferici e il microbiota intestinale, ma è stato dimostrato che l’NO2 ambientale e il PM (inquinanti altamente correlati alle emissioni del traffico) sono associati a malattie intestinali. Ad esempio, gli adolescenti che vivevano in regioni con maggiori concentrazioni di NO2 avevano maggiori probabilità di essere diagnosticati con la malattia di Crohn (Kaplan et al., 2010). Inoltre, quando gli inquinanti atmosferici (ad esempio NO2, PM con diametro aerodinamico inferiore a 2,5 micrometri) erano elevati nell’aria ambiente, adolescenti e giovani adulti visitavano più spesso i pronto soccorso per dolori addominali aspecifici (Kaplan et al., 2012). Sebbene i meccanismi precisi alla base delle correlazioni tra il microbiota intestinale e l’esposizione agli inquinanti atmosferici non siano completamente compresi, è noto che le particelle ultrafini attraversano rapidamente la circolazione sistemica (Nemmar et al., 2002) e il particolato può entrare negli epiteli intestinali tramite M cellule sui cerotti di Peyer e attraverso gli enterociti (Lai et al., 2009; Lavelle et al., 1995). Gli studi suggeriscono anche che le particelle possono raggiungere l’intestino attraverso l’ingestione di particelle inalate a seguito della clearance mucociliare dalle vie aeree (Beamish et al., 2011; Möller et al., 2004; Nemmar et al., 2002; Salim et al., 2014). Infine, un altro studio ha rilevato che l’aumento delle concentrazioni di PM, in particolare il carbonio nero, ha alterato aspetti chiave della colonizzazione e sopravvivenza batterica, nonché la colonizzazione batterica nei topi (Hussey et al., 2017), presentando un altro potenziale meccanismo attraverso il quale gli inquinanti atmosferici possono alterare il microbioma umano. I risultati di questo studio forniscono alcune delle prime prove che un’elevata esposizione agli inquinanti atmosferici può avere un impatto sul microbiota intestinale umano. Questi risultati erano indipendenti dalla percentuale di grasso corporeo e sono rimasti invariati dopo l’adeguamento per fattori dietetici noti per influenzare la composizione del microbiota intestinale. Nonostante i punti di forza di questo studio, il potere statistico limitato a causa di una dimensione relativamente del campione potrebbe aver ridotto il numero di correlazioni che sono rimaste significative dopo la correzione per confronti multipli e limitato la nostra capacità di indagare su qualsiasi potenziale differenza batterica intestinale per sesso o razza / etnia.  Infine, il confondimento residuo potrebbe aver influenzato i risultati dello studio poiché una dieta povera e la mancanza di attività fisica possono essere associate a un aumentato rischio di disfunzione metabolica, la composizione del microbiota intestinale e potrebbero anche essere correlate con la vicinanza residenziale a fonti di inquinamento atmosferico (Fram et al., 2015; Hajat et al., 2013). Tuttavia, questo sembra improbabile dato che i risultati riportati erano indipendenti dalla percentuale di grasso corporeo e sono rimasti invariati dopo l’aggiustamento per l’assunzione alimentare. Questo studio è stato anche limitato in quanto la vegetazione non è stata valutata poiché è stato dimostrato che la vegetazione influenza la composizione microbica dell’aria vicina (Lymperopoulou et al., 2016) e potrebbe aver contribuito ad alcune delle correlazioni osservate (2) Nel 2015, un totale di 107,7 milioni di bambini e 603,7 milioni di adulti erano obesi. Dal 1980, la prevalenza dell’obesità è raddoppiata in più di 70 paesi ed è aumentata continuamente nella maggior parte degli altri paesi. Anche se la prevalenza dell’obesità tra i bambini è stata inferiore a quella tra gli adulti, il tasso di aumento dell’obesità infantile in molti paesi è stato superiore al tasso di aumento dell’obesità negli adulti. L’IMC elevato ha causato 4,0 milioni di decessi a livello globale, quasi il 40% dei quali si è verificato in persone non obese. Più di due terzi dei decessi correlati all’elevato BMI erano dovuti a malattie cardiovascolari. L’onere della malattia legato all’elevato IMC è aumentato dal 1990; tuttavia, il tasso di questo aumento è stato attenuato a causa della diminuzione dei tassi di mortalità sottostanti per malattie cardiovascolari. Il rapido aumento della prevalenza e dell’onere della malattia dell’IMC elevato evidenzia la necessità di concentrarsi sempre sulla sorveglianza dell’IMC e sull’identificazione, l’attuazione e la valutazione di interventi basati su prove per affrontare questo problema.  (3) La prevalenza dell’obesità tra bambini e adulti è raddoppiata in 73 paesi dal 1980 e ha mostrato un continuo aumento nella maggior parte degli altri paesi. Anche se la prevalenza dell’obesità infantile è stata inferiore alla prevalenza dell’obesità degli adulti, il tasso di aumento dell’obesità infantile in molti paesi è stato superiore al tasso di aumento dell’obesità negli adulti. La prevalenza standardizzata in base all’età del sovrappeso e dell’obesità tra bambini e adulti per tutti i 195 paesi e territori è fornita dall’appendice supplementare nella tabella S3. Un set di dati completo di tutti i risultati per ogni paese in base all’età, al sesso e all’anno è disponibile sul sito Web Global Health Data Exchange (ghdx.healthdata.org/), e una visualizzazione interattiva dei dati della prevalenza del sovrappeso e dell’obesità è fornita online (vizhub.healthdata.org/obesity/). Qui mettiamo in evidenza i risultati relativi all’obesità nei paesi più popolosi (16). Al giorno d’oggi, l’obesità è uno dei problemi di salute umana più diffusi. La ricerca degli ultimi 30 anni ha chiarito il ruolo dello squilibrio tra l’assunzione e la spesa di energia, lo stile di vita malsano e la variabilità genetica nello sviluppo dell’obesità. Più recentemente, la composizione e le funzioni metaboliche del microbiota intestinale sono state proposte come in grado di influenzare lo sviluppo dell’obesità. Qui, riferiremo le conoscenze attuali sulla definizione, composizione e funzioni del microbiota intestinale. Abbiamo eseguito un’ampia revisione della letteratura, alla ricerca delle seguenti parole chiave: metabolismo, microbiota intestinale, disbiosi, obesità. Ci sono prove per l’associazione tra batteri intestinali e obesità sia nell’infanzia che negli adulti. Ci sono diversi meccanismi patofisiologici genetici, metabolici e infiammatori coinvolti nell’interazione tra microbi intestinali e obesità. I cambiamenti microbici nell’intestino umano possono essere considerati un fattore coinvolto nello sviluppo dell’obesità negli esseri umani. La modulazione dei ceppi batterici nel tratto digestivo può aiutare a rimodellare il profilo metabolico nell’ospite obeso umano, come suggerito da diversi dati provenienti da studi animali e umani. Così, una revisione profonda delle prove relative all’uso di probiotici, prebiotici, e antibiotici nei pazienti obesi è concepibile.

Conclusioni

Nell’ultimo decennio, i ricercatori hanno proposto una serie di interventi per ridurre l’obesità.19 Tra questi interventi vi sono la limitazione della pubblicità di alimenti malsani ai bambini, il miglioramento dei pasti scolastici, l’uso della tassazione per ridurre il consumo di alimenti malsani e la concessione di sussidi per aumentare l’assunzione di alimenti sani e l’utilizzo di incentivi della catena di approvvigionamento per aumentare la produzione di alimenti sani.19 Tuttavia, l’efficacia, la fattibilità di un’implementazione diffusa e la sostenibilità di tali interventi deve essere valutata in vari contesti. Negli ultimi anni, alcuni paesi hanno iniziato ad attuare alcune di queste politiche (1), ma non è stato ancora dimostrato un grande successo demografico. Molti dei paesi con i più alti aumenti nella prevalenza dell’obesità sono quelli che hanno una SDI bassa o media e contemporaneamente hanno alti tassi di altre forme di malnutrizione. Questi paesi hanno generalmente risorse finanziarie limitate per i programmi nutrizionali e si affidano principalmente a donatori esterni i cui programmi spesso prendono di mira preferenzialmente la sottonutrizione; di conseguenza, la sicurezza alimentare ha spesso la precedenza sull’obesità in questi paesi.20 Nel 2013, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha chiesto un aumento zero della prevalenza del sovrappeso tra i bambini e della prevalenza dell’obesità tra gli adulti.21 Tuttavia, dato l’attuale ritmo di aumento e le sfide esistenti nell’attuazione delle politiche alimentari, il raggiungimento di questo obiettivo appare improbabile nel prossimo futuro. Un valido aiuto viene dai probiotici che hanno dimostrato scientificamente di avere un ruolo importante nella digestione dei carboidrati e delle fibre. Nel corso del processo digestivo, infatti, i bifidobatteri possono rilasciare particolari sostanze, denominate acidi grassi a catena corta, molto importanti non solo nello stesso processo digestivo ma anche per controllare la fame. Quando i bifodobatteri sono troppo bassi nel numero, la stessa digestione può venire negativamente influenzata e parallelamente può venire negativamente influenzata anche l’assunzione di cibo nonché lo stesso dispendio energetico. Ne conseguono aumenti di peso e rischi di incorrere in stati di obesità. Gli integratori probiotici vengono spesso somministrati a persone prive di dati di prova adeguati. Questi risultati iniziano a dare prova dell’efficacia e della sicurezza di due ceppi probiotici nel trattamento dell’obesità in una popolazione più giovane. i ricercatori vogliono capire come tradurre questi risultati in trattamenti personalizzati per la perdita di peso e sarà proprio questo il prossimo passo dei loro futuri studi ai quali noi ci affidiamo per ottenere una qualità della vita non solo più longeva, ma quanto più possibile costellata da un numero sempre minore di malattie.  (17)


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