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Dolore e Covid-19: aspetti fisiopatologici, clinici e organizzativi 

Franco Marinangeli – Dipartimento di Anestesiologia, Trattamento del dolore e Cure Palliative, Università de L’Aquila
Antonino Giarratano – Dipartimento DiChirOns, Università degli Studi di Palermo – Dipartimento Emergenza e Urgenza, Azienda Ospedaliera Universitaria P. Giaccone Palermo
Flavia Petrini – Dipartimento di Scienze Mediche, Orali e Biotecnologie – U.O.C. Anestesia e Rianimazione-Terapia Intensiva Università “G.D’Annunzio” Chieti-Pescara

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INTRODUZIONE

La pandemia del coronavirus 2019 (COVID-19) ha indubbiamente cambiato le nostre vite e il nostro approccio alla medicina, per un periodo di tempo ancora indefinito. Infatti, la gravità della pandemia COVID-19 ha richiesto la massima attenzione da parte delle autorità sanitarie e degli organi governativi a livello mondiale, con importanti modifiche degli approcci terapeutici standard per le malattie non COVID-19. Tuttavia, tra centinaia di “articoli istantanei” sul COVID-19, sono stati pubblicati ancora pochi studi prospettici di ampia portata, riguardanti principalmente l’efficacia degli antivirali o dei farmaci che bloccano le interleuchine nei pazienti nelle condizioni più critiche, fino alla pubblicazione dello studio RECOVERY Trial (Valutazione randomizzata della terapia COVID-19) [1]; quindi le decisioni cliniche riguardanti il trattamento del COVID-19 e di qualsiasi altra malattia concomitante o in corso sono state inizialmente basate principalmente sull’esperienza del singolo medico. Anche durante questa fase è stato espressamente richiesto di non trascurare il continuum di cura dei pazienti che presentano malattie croniche, compreso il dolore [2-4]. Per quanto riguarda il dolore, il COVID-19 ha avuto un notevole impatto sia dal punto di vista clinico (l’influenza dell’infezione da SARS-CoV-2 sul dolore) che organizzativo (come i pazienti con dolore cronico devono essere gestiti nel post COVID-19). Inoltre, i pazienti con dolore cronico sono spesso soggetti fragili, affetti da comorbidità multiple e quindi a maggior rischio di infezione. Poste queste basi, come sarà gestita la necessità di continuare la terapia del dolore nel post COVID-19? In questo articolo commentiamo i suddetti argomenti, sulla base dei dati disponibili e della nostra esperienza come terapisti del dolore.

COVID-19 e fisiopatologia del dolore

Attualmente alcune relazioni preliminari hanno suggerito un aumento del dolore nei pazienti con COVID-19 [5-8]. Infatti, l’infezione da SARS-COV-2 può causare una scarica di citochine – il segno distintivo più evidente della malattia polmonare nei pazienti con COVID-19 – che può anche avere conseguenze sistemiche al di là del coinvolgimento polmonare e portare a un aumento del dolore e, potenzialmente, all’insorgenza di dolore cronico [9,10]. Il legame tra l’aumento dell’espressione delle citochine pro-infiammatorie e il dolore più grave nei pazienti affetti da COVID-19 è interessante, ma dovrebbe essere meglio indagato in studi dedicati.

Crediamo anche che i ricoveri ospedalieri dovuti a COVID-19, specialmente nelle Unità di Terapia Intensiva, possano avere un impatto importante sul dolore nel medio-lungo periodo. Infatti, i pazienti ospedalizzati non hanno avuto l’opportunità di ricevere una riabilitazione fin dall’inizio e quindi possono essere soggetti ad un aumento del rischio di sviluppare o peggiorare il dolore cronico [11,12]. Al fine di indagare su questo tema dovrebbero essere eseguiti studi epidemiologici. Tuttavia, in attesa di tali studi, il trattamento analgesico non dovrebbe essere negato né ai pazienti ricoverati per COVID-19 che si sottopongono a riabilitazione, né ai pazienti già affetti da dolore cronico, al fine di preservare l’efficacia del trattamento analgesico e facilitare il recupero funzionale [12-15]. Le diverse terapie analgesiche si differenziano notevolmente nel raggiungimento di un completo recupero funzionale. Per favorire i migliori risultati possibili nel processo di riabilitazione, è di fondamentale importanza una più stretta collaborazione tra terapisti del dolore e fisiatri/fisioterapisti. Allo stesso tempo, dovrebbe essere garantita un’adeguata assistenza psicologica a tutti i pazienti, poiché uno stato psicologico compromesso può portare ad un aumento della gravità del dolore percepito [13].

La terapia analgesica nel post COVID-19

È imperativo che i pazienti con dolore cronico ricevano un trattamento analgesico secondo le loro specifiche esigenze [14,16,17]. I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono tra i trattamenti analgesici più comunemente utilizzati e , sia pure nei limiti temporali di appropriatezza della durata del trattamento con questi farmaci, anche attraverso il ricorso alla ricetta dematerializzata. Tuttavia, è importante sottolineare che i FANS possono mascherare i sintomi precoci del COVID-19 (febbre, mialgia) e quindi possono potenzialmente portare a una diagnosi tardiva della malattia. Il comitato di valutazione dei rischi della farmacovigilanza dell’Agenzia Europea per i Medicinali ha raccomandato di aggiornare le informazioni sul prodotto per i farmaci contenenti ibuprofene e chetoprofene ketoprofene in modo da segnalare questa avvertenza [18]. Anche gli oppioidi sono ampiamente utilizzati per la gestione del dolore cronico e possono essere prescritti tramite ricetta dematerializzata, al pari di altri farmaci, analgesici e non. Pertanto, essi mantengono un ruolo importante nell’attuale strategia di trattamento del dolore. Anche se alcuni oppioidi possono causare immunosoppressione, i singoli oppioidi differiscono per rischio di immunosoppressione [19]. Inoltre, gli oppioidi differiscono nel rispettivo metabolismo. Infatti, alcuni oppioidi vengono metabolizzati dalla famiglia dei citocromi P450 e, quindi, possono causare interazioni farmacologiche, ad esempio con gli antivirali, compromettendo così la terapia farmacologica dei pazienti politrattati [20]. Infine, in linea di principio, il trattamento continuo con gli oppioidi dovrebbe continuare avvenire secondo le linee guida attuali, con l’obiettivo di evitare un’astinenza indesiderata e inaspettata, che può causare danni fisici e psicologici al paziente [21,22]. È importante sottolineare che qualsiasi modifica alla programmazione e alle prescrizioni degli oppioidi deve essere eseguita solo dopo un’attenta valutazione del trattamento in corso e richiede la partecipazione attiva del paziente per raggiungere un livello di cura ottimale. La disponibilità di un trattamento analgesico e il monitoraggio della terapia devono essere resi accessibili a tutti i pazienti, con l’obiettivo di evitare interruzioni della terapia e un uso inappropriato di farmaci, così come la valutazione e il monitoraggio del rischio di abuso. Inoltre, finora non sono stati pubblicati dati relativi all’uso di oppioidi nei pazienti COVID.

Nuovi modelli organizzativi nel post COVID-19

La corretta gestione del dolore cronico è una questione importante dal punto di vista organizzativo. In Italia ci sono ancora molti obiettivi da raggiungere su questo fronte. Infatti, la gestione del dolore è stata ampiamente influenzata dalla pandemia COVID-19 [14,16,17]. In effetti, il dolore è più frequentemente segnalato in pazienti fragili e anziani, che hanno un rischio maggiore di sviluppare una grave infezione da COVID-19 e quindi dovrebbero essere visitati in ospedale solo qualora strettamente necessario. Inoltre, alcune attività cliniche e di routine solitamente svolte nelle unità di gestione del dolore possono essere portate avanti anche attraverso una corretta attuazione della telemedicina, tenendo presente che una corretta comunicazione tra il medico e il paziente rimane necessaria [23]. Questi problemi hanno portato alla necessità di un’ampia riorganizzazione nella gestione del dolore nel post COVID-19. In primo luogo, va sottolineato che il monitoraggio continuo è essenziale per la gestione del dolore cronico, e quindi le rivalutazioni di ogni paziente con dolore cronico dovrebbero essere eseguite regolarmente. Quando sono necessarie visite in regime di ricovero, i pazienti, i loro assistenti e il personale devono essere sottoposti a screening per i sintomi della SARS-CoV-2, prima che il paziente entri in ospedale, secondo gli strumenti di screening disponibili e la prassi. Dovrebbero essere adottate misure di distanziamento sociale e di protezione personale, in linea con le specifiche normative emanate dalle autorità sanitarie e governative. Il triage dei pazienti può essere utile per differenziare coloro che possono essere adeguatamente curati con la telemedicina e coloro che hanno bisogno di un consulto ospedaliero [14]. A tal fine, si dovrebbe tener conto di fattori quali l’acutezza e la gravità del dolore, la presenza di condizioni psichiatriche, la situazione occupazionale e sociale [14]. La telemedicina può diventare uno strumento molto utile per la valutazione dei risultati dichiarati dai pazienti [23]. Inoltre, i telefoni cellulari dotati di fotocamera consentono di condividere immagini, ad esempio di aree dolorose o al fine di valutare la mobilità dei pazienti. Secondo la normativa italiana, molte prescrizioni di farmaci possono essere eseguite a distanza. Pertanto, la telemedicina può essere preferita alle visite in regime di ricovero quando sono necessari solo il monitoraggio dei pazienti e la terapia o il rinnovo della prescrizione. Inoltre, la telemedicina può consentire un’interazione più costante tra il terapista del dolore e il paziente. Nel complesso, la telemedicina si è dimostrata ben accettata dai pazienti e associata a un notevole risparmio di risorse sanitarie [24,25]. Tuttavia, ci sono condizioni in cui la telemedicina non può sostituire le visite dirette, soprattutto quando deve ancora essere formulata una corretta diagnosi [26]. Inoltre, possono sussistere barriere tecnologiche ad un uso efficace della telemedicina [23,26]. Qualora la telemedicina possa essere applicata, si dovrebbe prediligere una tecnologia di facile utilizzo, tenendo conto anche delle questioni di riservatezza delle informazioni sanitarie personali. In effetti, le applicazioni attualmente utilizzate per la telemedicina variano in base al controllo che fanno del contenuto, della sicurezza e delle richieste di marketing [23].

Futuri orientamenti della ricerca

I cambiamenti nella gestione del dolore imposti dalla pandemia COVID-19 hanno lasciato diverse zone d’ombra che meritano l’attenzione della comunità scientifica nel prossimo futuro. In primo luogo, è fondamentale che venga effettuata una corretta valutazione dell’importanza del trattamento del dolore nei pazienti che si stanno riabilitando dopo il COVID-19. Tali studi dovrebbero anche valutare qual è il trattamento più adatto per questi pazienti. In Riguardo alla telemedicina, sono in fase di sviluppo nuovi modelli organizzativi come gli studi farmaco-economici e di utilizzo dei farmaci, che si consiglia di valutare con approcci formali. Su questo fronte, è consigliabile perseguire anche una validazione dei questionari di valutazione del dolore sviluppati specificamente in base all’impostazione della telemedicina. Infine, sarebbe interessante implementare approcci e strumenti di medicina narrativa nella telemedicina, con l’obiettivo di raggiungere una valutazione e un supporto più completi per i pazienti. Le suddette linee di ricerca sono sicuramente di grande rilevanza per il post COVID-19. Tuttavia, i medici dovrebbero garantire ai pazienti un trattamento analgesico adeguato al dolore cronico, senza interruzioni causate dalla difficile situazione che stiamo affrontando quotidianamente in campo medico.

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