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Covid e Pet-Theraphy

Pierangelo Valaperta ~ Dottore in Psicologia Clinica e delle Riabilitazioni
Pubblicazione – ANNO 3 N.28 OTTOBRE 2020 – ISSN: 2612/4947

Negli ultimi mesi siamo tutti stati protagonisti di una condizione psicofisica sconosciuta, dovuta ad una causa esterna, l’isolamento forzato, e, non meno ora molte sono ancora le restrizioni.

Il fatto di non poter abbracciare un amico, di baciare un conoscente o di stringere la mano toglie quella sensazione di contatto umano che ci fa stare bene e che implicitamente regala a chi riceve o dona il gesto un senso di appagamento e calore.

Ma chi ha un animale domestico questa mancanza la vive nello stesso modo? 

Persino FREUD si rese conto che la  compagnia del suo cane Jofi durante le sedute di psicanalisi permetteva una catarsi del paziente più rapida in termini temporali rispetto al normale, inizialmente si pensò ad un fattore legato al fatto che un animale potesse accentuare l’idea di “confort zone”, ma in seguito, agli albori della “Pet Orientation Theory” Levinson assunse che il cane come tale non giudica, di conseguenza l’essere umano in assenza di giudizio si sente più libero di esprimersi aumentando la propria cognizione di empatia, modificando l’omeostasi di alcuni neurorecettori  provocandone una riduzione del Cortisolo, una diminuzione del battito cardiaco e della pressione sanguinea. Il cortisolo, solitamente, viene analizzato raccogliendo dei campioni di saliva, che forniscono indicazioni sulla quantità di questo ormone nell’organismo. Per verificare queste ipotesi, nel 2005 Barker ha condotto uno studio su un campione di professionisti della salute, una categoria a rischio di sviluppare stress, costretti a permanere per molto tempo in strutture sanitarie con continui cambi di routine. I risultati furono sconcertanti, la compagnia del cane ha permesso un’aumento della tolleranza dello stress (riduzione di cortisolo), un aumento dell’intelligenza emotiva e dell’empatia. 

La problematica relativa all’ isolamento è simile alla precedente, ed è legata al fatto che un cambio così repentino di ritmo di vita, unito alla mancanza di contatto umano genera inevitabilmente un livello di stress notevole.

Un filone di studi si è focalizzato sugli effetti del legame uomo-animale sui livelli di stress della persona. Per diverso tempo si è ritenuto, infatti, che interagire con l’animale riduca i livelli di stress cronico, favorendo il rilassamento, riducendo l’iperattivazione dell’organismo e modulando anche le emozioni negative, come ansia, preoccupazione e tristezza, che possono essere indotti in ambito domestico a causa della situazione contingente. Tali interazioni non devono necessariamente avere uno scopo, è sufficiente che la persona accarezzi (petting) l’animale per un breve intervallo di tempo per osservare effetti positivi sui livelli di stress e agitazione, in pratica l’animale svolge implicitamente la funzione di terapeuta. Sembra che questo effetto non sia valido solo per l’uomo, ma anche per l’animale stesso, poiché specie come i cani e i gatti sono particolarmente sensibili alle carezze umane, che sono per loro una fonte di piacere e di rassicurazione. 

Quindi quando accarezziamo il nostro animale domestico stiamo comunque avendo un contatto con un mammifero, che come noi ha un apparato limbico, e quindi capace di percepire e ricambiare “calore emotivo”. La percezione che l’essere umano ha a livello psicosomatico è simile ad un abbraccio, quindi la risposta alla domanda inizale è: ASSOLUTAMENTE NO,  chi  ha un animale domestico in casa ha uno strumento terapeutico che permette di mantenere  un livello di cortisolo tendenzialmente basso e una gestione dello stress più funzionale, a patto che la convivenza sia compresa da entrambe (uomo-animale) e pacificamente condivisa.

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